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Ritrovarsi

La mia nuova vita di ex enotecaria comincia così, spostando qualche centinaio di bottiglie rimaste dalla cantina del negozio, una grande stanza due piani sottoterra con volta di mattoni e pavimento  in pietra di luserna e temperatura costante, alla molto più modesta cantina condominiale di casa mia, che si è velocemente intasata di scatole piene di documenti vecchi, vini da dessert, nastri regalo e registri fiscali. La svendita delle ultime settimane in negozio è andata molto bene, portando il numero di bottiglie da circa tremila iniziali a circa quattrocento residue in poche settimane. Soddisfacente direi, e sono contenta che Luca (il nuovo titolare del negozio) abbia potuto così riassortire per benino gli scaffali, facendo entrare una ventata di aria nuova e tante belle nuove etichette (a proposito, l’inaugurazione è questo sabato, per chi è in zona ci vediamo lì :)

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What’s going on

Era nell’aria da un sacco di tempo ormai. Una gran bella svolta nella mia vita personale e professionale, un cambiamento radicale, di quelli con cui si mettono in discussione certezze acquisite da secoli, dati di fatto e perfino in un certo qual modo la propria identità. Già, perchè decidere di cambiare mestiere, trasferirsi in un altra città e mettere su famiglia, tutte e tre queste cose insieme sono davvero una trasformazione radicale no? Sì, però ce n’è voluto del tempo perchè tutto quanto prendesse forma sul serio, nei fatti e nella mia testa soprattutto, diciamo un paio d’anni o giù di lì. E tutt’ora il cambiamento è in evoluzione, non completamente assestato, e tutt’altro che completato. La prima -meravigliosa- rivoluzione è stata la nascita della mia bambina, lei è stato ed è il cambiamento che si impone tutti i giorni, tutti i giorni scopriamo qualcosa di nuovo e facciamo una nuova conquista, lei come bimba, io come mamma, dal suo primo vagito in sala parto, al suo primo vero indimenticabile sorriso una mattina di primavera, il suo primo bagno in mare e la sua prima parola (grazie, la sua prima parola è stata ‘grazie’), le sue manine e soprattutto i suoi piedini morbidi e bacievoli, le sue guanciotte ciccione e gli occhietti scuri e furbi, insomma è ovvio, io l’adoro e niente è più totale e assoluto di lei, tutti i ricordi e tutti i suoi passi avanti sono pietre miliari della mia vita prima ancora che della sua.

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Buona la prima!

Questa tarte tatin in versione salata l’ho vista lo scorso anno in una vetrina di una bella gastronomia a Cannes, e mi ispirò molto, tanto da ricordarmene ancora adesso, e provare a cercarne una ricetta. Per la verità quella che vidi era una tartellette, in versione monoporzione, che dev’essere ancora più buona, ma vi assicuro che questa grande merita proprio. Di ricette non ho trovato molto, ma girando per la rete ho comunque capito alcune cose che mi hanno aiutato a farmi una ricetta ad occhio, con le mie dosi e i miei ingredienti, e anche se certi particolari mi sono sembrati un azzardo (tipo mettere a caramellare lo zucchero per ottenere una torta salata), alla fine….ho azzardato :) con massima gioia dei miei invitati a pranzo. Una di quelle volte in cui la fortuna del principiante fa una ricetta perfetta al primo colpo. Da ripetere centinaia di volte :D

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I colori della terra

Cucinare la carne in estate è ancor peggio che in inverno, ma per fortuna il caldo e la bella stagione mi rimandano sempre all’idea di ‘rinfrescare’ i piatti utilizzando le spezie, che rendono sicuramente più stuzzicanti e gustose un sacco di pietanze. Ieri perciò, sebbene avrei preferito uno spezzatino di carni miste, ho ripiegato su questa rolata presa già pronta dal macellaio di riserva (quello di fiducia era a troppi chilometri) e con in mente ben presente questa foto di Alex, -una delle sue foto che mi si stampano in memoria forever, come questa o questa o questa, nessun altro blog ha su di me lo stesso effetto- ho preparato questo variegato piatto policromatico, che dall’arancio, al giallo chiaro, al marrone ha in sè tutti i colori della terra e a vederlo mi ci vorrei tanto fare un vestito :) Però, però, però, giuro che le foto non gli rendono giustizia, in campo fotografico Uvetta è tutta da rifare, macchina nuova (reflex digitale, wow!) che son certa mi darà grosse soddisfazioni, ma per ora mi fa sentire una vera incapace.

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Corsi e ricorsi

Questa torta ed io non ci siamo ancora perfettamente capite, nel senso che io non l’avevo mai mangiata finchè non l’ho preparata io stessa seguendo la ricetta dello chinois del Cavoletto, che per la verità mi deluse non poco, soprattutto per il gusto di lievito troppo pronunciato e per la consistenza -ahimè cruda dentro e croccante fuori, feci proprio un mezzo disastro. Però questa forma del mazzo di rose e la preparazione (lievitazione e manualità) mi affascina e continua ad affascinarmi, così di tanto in tanto la preparo. Questa volta la ricetta l’ho trovata in una raccolta di dolci veronesi, (non chiedetemi come ne sono venuta in possesso qua nella profonda provincia torinese, è una lunga storia fatta di passione quanto di casualità, che spero diventi ancora più lunga e articolata, così da poterla raccontare presto assai ;) raccolta dicevo, dove l’origine di questa meraviglia di burro e dolcezza viene fissata a Valeggio sul Mincio, cittadina davvero graziosa in cui anni fa ho soggiornato spesso in occasione del Vinitaly, e di cui ricordo un magnifico parco naturale da visitare anche in bici, e il bellissimo borgo medievale, oltre ai tortellini più buoni che abbia mai mangiato. Andateci il 15 di giugno prossimo a cenare seduti sul ponte visconteo in una tavolata lunga circa 600 metri!

Ok, divagazione fatta, torniamo alla torta…

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Ispirata dal web prima ancora che dalla bella stagione (prego guardare qui, qui, qui) con una certa voglia di semplicità e leggerezza, in occasione di un veloce pranzetto di famiglia all’aria aperta, che è sempre un piccolo e graditissimo privilegio, ecco qua una ciotola di freschezza e profumo, pienamente soddisfacente. Il basmati è forse il riso che prediligo in assoluto, da quando l’ho scoperto non molti anni fa a dire il vero; per il suo profumo ineguagliabile, e ancor di più per la sua consistenza sempre al dente e con i chicchi ben sgranati, si presta alla preparazione di piatti freddi e insalate, oltre ad essere il contorno perfetto per spezzatini e sughetti un po’ speziati.  Non lo cucinavo da un bel po’ e questo che avevo in dispensa è un residuo del mio ultimo periodo ‘indiano’ che forse potrebbe anche tornare… Piccolo ed estremo piacere anche quello di mangiare, ogni tanto, un pasto con le bacchette, che mi trasmettono un senso di tranquillità e lentezza.

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Lo scorso Natale ho comprato mezzo chiletto di lievito madre dal panettiere per regalarlo a un’amica. Il panettiere, che è un ragazzo della mia età figlio e fratello di panettieri, mi ha spiegato che loro come famiglia hanno la panetteria da cinquant’anni, e che il lievito apparteneva già a chi aveva il forno prima di loro. Poesia pura, no? venendone in possesso (già perchè la mia amica non ci ha messo molto a capire che il mio era un regalo interessato e me ne ha affidato un bel pezzettino dopo pochi mesi) ci si sente responsabili di qualcosa di sacro e prezioso, un mistero da portare avanti quotidianamente con cura e rispetto, amore, costanza e determinazione. In pratica è proprio vero che si ridiventa genitori :)

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Ok, ricettina non proprio primaverile al cento per cento, ma se dovesse scapparci una giornata piovosa, ultimo colpo di coda dell’inverno non pensateci due volte e rifatela che è di una bontà pari solo alla sua facile realizzazione. Io per la verità l’avevo letta tempo fa su qualche inserto che la proponeva addirittura in abbinamento a tavola con un bicchiere di Asti Spumante. Ora, va bene tutto ed è pur vero che ’sto povero Asti gli italiani se lo bevono solo a Natale,  per ciò qualcosa bisognava inventarsi; ed è anche vero che in linea teorica, lontanissima dalla realtà, la bollicina sottile e la sfumatura aromatica del moscato vanno a bilanciare grassezza e intensità del piatto. Però anche volendo essere innovatori e tremendamente glamour, il troppo stroppia e la dolcezza del vino per me fa a pugni con il gusto del piatto. Mi rendo conto di non esprimere un giudizio da tecnico degustatore, ma tant’è.

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Riflettevo in questi giorni sulla bellezza del periodo pasquale. Al di là della resurrezione, cosa in cui pare non sia poi così di moda credere ma che se uno ci pensa bene è carica di una forza positiva senza eguali, c’è nella natura e nello spirito pasquale un senso di rinascita e di liberazione che pervade la vita di chiunque, basta essere appena sensibili alle gemme verdi sugli alberi e alla luce del sole di primavera, basta volersi spogliare del cappotto pesante dell’inverno e vestire con disinvoltura, finalmente, la camicia di cotone fresco. E dentro me si sta facendo largo una sorta di conversione, sì nel senso di ‘cambiamento’, ‘alleggerimento’, determinato dal voler andare oltre quello che è stato un periodo, uno stadio, un’epoca severamente difficile ma splendidamente appagante della mia vita, e di aprirne una nuova e ancora più bella, quella della consapevolezza e delle emozioni vere, da vivere appieno e golosamente, con giustezza e benessere, e senza perdere mai il senso del passaggio e della crescita verso ciò che è nuovo. Continue Reading »

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